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Arpino, la Città di Cicerone, con l'Acropoli di Civitavecchia e l'Arco a Sesto Acuto (VII - VI sec. a.C.)

A

La città di Arpino si sviluppa sul versante sinistro della media valle del fiume
Liri, su di un sistema collinare ad un'altitudine di circa 450 m. s.l.m. Il centro è
dominato dall'Acropoli, detta Civitavecchia (650 m).
II fascino degli antichi monumenti costituisce un'irresistibile attrattiva per
chiunque giunga in questa località, rinomata a livello internazionale per il
CERTAMEN CICERONIANUS ARPINAS, gara di traduzione dal latino promossa
per la prima volta nel 1980; la competizione si svolge a metà maggio e vede
la partecipazione di studenti di tutta Europa.
Profondamente connesso al mondo classico è anche il CONVIVIUM ARPINAS
-'A cena nell'antica Arpino'-, tra ottobre e novembre.
Di altissimo livello sono le periodiche mostre artistiche organizzate
dalla "Fondazione Umberto Mastroianni".
La domenica successiva al ferragosto si svolge la festa dei
Gonfaloni: i rappresentanti delle contrade, vestiti con i costumi tipici, si
contendono un drappo dipinto a mano, il gonfalone, gareggiando in vari
giochi popolari, come la Corsa delle carriole, quella degli asini, canti e balli in
costume tradizionale e la Corsa con la Cannata. Si tratta di una gara solo
femminile che consiste nel percorrere le tortuose e scoscese vie del paese
con le ciocie ai piedi e sul capo un’anfora colma d’acqua del peso di 12 kg.
Ovviamente bisogna arrivare al traguardo senza farla cadere. Il periodo
natalizio è allietato invece da un suggestivo presepe vivente.

Cenni Storici
Non si conosce l'esatta età della fondazione di Arpino, anche se ritrovamenti
archeologici ne dimostrano le origini volsche, popolo di origini incerte a cui
sono connesse le vicende dei rostri del foro (preda romana dopo la battaglia
navale al largo di Anzio) e di Coriolano. Le tradizioni locali, e una serie di
iscrizioni ancora visibili, fanno risalire la fondazione della città al dio
Saturno o ai Pelasgi, analogamente alle altre città del Lazio meridionale
cinte da possenti mura megalitiche e dette città saturnie.
Tale tradizione di fondazione, unitamente alla fierezza per i tanti figli illustri
che hanno contribuito alla crescita e alla grandezza di Roma antica, è scolpita
in una orgogliosa lapide in lingua latina posta sulla porta medievale di
ingresso da est ad Arpino, detta Porta Napoli; la traduzione italiana suona
così:
O VIANDANTE, STAI ENTRANDO IN ARPINO, FONDATA DA SATURNO, CITTA'
DEI VOLSCI, MUNICIPIO DEI ROMANI, PATRIA DI MARCO TULLIO
CICERONE PRINCIPE DELL'ELOQUENZA E DI CAIO MARIO SETTE VOLTE
CONSOLE. L'AQUILA TRIONFALE, PRESO IL VOLO DA QUI ALL'IMPERO,
SOTTOMISE A ROMA TUTTO IL MONDO. RICONOSCI IL SUO PRESTIGIO, E
VIVI IN SALUTE.
Fu teatro e obiettivo di scontri tra Romani e Sanniti, fino ad essere
conquistata dai primi nel 305 a.C. Due anni dopo ottenne la cittadinanza
romana sine suffragio e divenne prefettura. Nel 188 a.C. ottenne
definitivamente la cittadinanza romana. La sua importanza crebbe fino ad
ampliare il suo territorio che raggiungeva a nord-ovest l'attuale Casamari
(anticamente Cereatae) e a sud Arce.
Gaio Mario, che ne fu illustre cittadino (e il cui nome è ancor oggi ricordato
non solo nell’etimologia della località arpinate di nascita, Casamari, (Casa
Marii, per l’appunto), ma persino nell’etimologia della regione francese della
Camargue (Caii Marii Ager), donò alla città alcuni territori conquistati nella
Gallia Narbonense dopo la Battaglia dei Campi Raudii del 101 a. C. Con Silla
iniziò la sua lenta decadenza che si protrasse durante l'epoca imperiale.
Anche l'avvocato, politico e filosofo romano Marco Tullio
Cicerone nacque ad Arpino nel 106 a.C.; egli è una vera gloria di Arpino, e
la sua città fu spesso citata nelle sue opere con orgoglio e anche con
nostalgia. In tempi moderni è stato dato il suo nome al corso principale
della città, allo storico Convitto nazionale Tulliano, al Liceo Ginnasio
Tulliano, alla Torre medievale dell'Acropoli di Arpino e a diverse altre
istituzioni, circoli, scuole, persino persone.
Nella stessa Acropoli si narra esistesse una sua casa, presumibilmente
nell'attuale via Cicera, adiacente al cosiddetto Muro Cicero, probabilmente
appartenuta alla nobile ed estinta famiglia arpinate dei De Bellis fino al
diciottesimo secolo, e ora ridotta a rudere, nonostante la famosa scrittrice e
viaggiatrice Marianna Candidi Dionigi, nel suo diario di viaggio
intitolato Viaggi in alcune città del Lazio che diconsi fondate dal re Saturno,
edito a fascicoli intorno al 1809, a pagina 51, ritenga di aver individuato tale
casa e la piccola via adiacente, composta di pietre simili nel taglio a quelle
della via Appia, ne descrive l'emozione, loda gli arpinati per l'orgoglio che
mostrano per tante vestigia e ne riproduce persino l'allocazione nella sua
bellissima Mappa di Arpino riportata nel volume predetto a pagina 46.
Nell'Alto Medioevo le sue mura fortificate ne fecero un centro di rifugio
e difesa dalle invasioni barbariche. In questo periodo Arpino fu più volte
contesa tra il Ducato romano, il Ducato di Benevento, l'invasione dei Franchi
(860), le scorrerie dei Saraceni.
Dopo il 1000 divenne territorio dei Normanni, poi degli Svevi e del Papato
e dovette subire due distruzioni: la prima nel 1229 con Federico II e la
successiva nel 1252 a opera di Corrado IV. In questa seconda occasione i
danni furono molto rilevanti: la città fu rasa al suolo e furono
irrimediabilmente perdute molte delle antiche testimonianze romane. Gli
abitanti trovarono rifugio nella vicina località fortificata di Montenero; oggi
nella frazione omonima ci sono i resti di un'antica torre.
Nel 1580 Arpino entrò a far parte del Ducato di Sora, feudo parzialmente
autonomo del Regno di Napoli. Il Ducato fu soppresso nel 1796 e con esso
Arpino entrò a far parte prima del Regno di Napoli e poi del Regno delle Due
Sicilie, fino al 1860. Entrò a far parte della Provincia di Terra di Lavoro, in
Campania, fino al 1927, dopodiché, con l'istituzione della Provincia di
Frosinone, divenne parte di questa nuova provincia laziale.
Recenti scavi hanno portato alla luce in Piazza Municipio un
tratto dell'antico basolato romano. Il lastricato è sistemato in vari strati con
relativa "cloaca" il cui tracciato, risalente al I sec. a.C, corre sotto il suolo di
Arpino lungo tutto l’asse est-ovest dell’antico decumano.


L'Acropoli di Civitavecchia

L'Acropoli di Arpino è un sito archeologico prossimo al centro abitato di
Arpino, uno dei più importanti per la conoscenza dell'architettura
megalitica del Lazio meridionale, non solo per la grande estensione delle
mura ma anche per la loro vetustà, maggiore di quella di altri siti (collocabile
secondo alcuni in piena età del ferro, VIII/VII secolo a.C.), e classificabili
secondo la scala ideata da Giuseppe Lugli nella seconda maniera.
La civitas vetus della città, tipico esempio di fortificazione volsca,
rappresenta una delle cinte murarie meglio conservate costruite in opera
poligonale in epoca preromana. Essa fu, probabilmente, il nucleo
originario del primitivo insediamento volsco (popolo del VII-VI sec. a.C.).
Di particolare significatività è la presenza di un "arco a sesto acuto" unico
sopravvissuto nel suo genere in tutta l'area mediterranea. Trattasi di
un tipico arco a mensola, che viene a costituire una porta cosiddetta scea.
* L’elemento architettonico più significativo del passaggio dei Volsci su
questo colle, oltre alle mura poligonali, è rappresentato dal bellissimo arco a
sesto acuto posto all’ingresso della cittadella. Alto 4,2 metri, è formato dalla
sovrapposizione di diversi blocchi di pietra che vanno restringendosi verso
l’alto conferendogli quella tipica forma. Nel corso del XVI secolo, questo
rarissimo esempio di arco, fu “atrocemente” chiuso da un bastione difensivo
di forma semicircolare, ora in gran parte demolito. Attraversato l’arco, che tra
l’altro era la porta d’ingresso dell’antica acropoli, si trova, sul lato sinistro, una
torre a base quadrangolare che serviva per la difesa del “castrum”
successivamente racchiuso da mura del periodo medievale. Ridotte a semplici
ruderi, queste mura, che appaiono in più punti sovrapposte a quelle
poligonali, racchiudevano, oltre a Civitavecchia, il primo nucleo di Arpino.
Testo da * a ** Lazionascosto.it
La grandiosità di queste mura, che si trovano pure in altri paesi dei Volsci
(Atina, Aquinum, Sora, Signia, Arcis) e degli Ernici (Aletrium), ha suggerito alla
fantasia popolare il nome di mura pelasgiche (in ricordo dei preellenici, mitici
Pelasgi) o ciclopiche (i giganti omerici). E' però, più giusto, chiamare questo
tipo di mura "poligonali" proprio per la forma che presentano gli enormi
massi, sovrapposti l'uno sull'altro senza alcun legame di malta.
Oltre all'Arco a sesto acuto e alle mura poligonali, con vari torrioni strategici
aggiunti nell'età moderna (probabilmente a cavallo tra il quindicesimo e il
sedicesimo secolo), ci sono altri monumenti di grande interesse all'interno
dell'Acropoli.

Tra i più importanti c'è la "Torre di Cicerone", restaurata nel 2011 (residuo
di un castello merlato medievale di cui si conserva sul retro della torre una
piccola piazza d'armi con cisterna e ruderi delle fondazioni delle altre torri).
Al fianco dell'arco a sesto acuto incontriamo un gioiello settecentesco:
la chiesa della SS. Trinità o del Simulacro del Crocifisso. Ancora oggi di
proprietà della famiglia Pesce, essa fu fatta costruire nel 1720 dal Cardinale
Giuseppe Pesce, maestro e rettore della Cappella Pontificia. E' di stile
romanico con pianta a croce greca. La cupola è sollevata su quattro pilastri
centrali. Il paliotto dell'altare, dipinto con i fiori, fa da sfondo alla piccola
chiesa. A fianco, due grandi affreschi: a destra L'Immacolata, a sinistra S.
Giuseppe.
Si arriva, poi, alla chiesa di S. Vito del XVI secolo, a tre navate. Ha una bella
facciata e campanile del XVII/XVIII secolo in puddinga di Arpino, un
interno pesantemente rimaneggiato in epoca moderna e una pala d'altare
del Cavalier d'Arpino raffigurante i Santi Vito, Modesto e Crescenzia del
1625/1627.


Piazza Municipio

*Centro della vita sociale, culturale e religiosa cittadina, la Piazza Municipio
sorge sul sito dell'antico Forum romano, situato all'incrocio tra gli assi viari
principali del decumanus, che comprende le odierne vie Giuseppe Cesari e
dell'Aquila Romana e del cardo, corrispondente al tracciato dell'attuale Via del
Liceo.
Nel centro della piazza è visibile un tratto dell'antico basolato romano,
venuto recentemente alla luce (2006) durante le opere di riqualificazione
urbana del centro storico cittadino. Da notare i vari strati su cui il lastricato è
sistemato e la perfezione della cloaca. Un altro tratto, portato a livello strada,
si può vedere in via dell'Aquila Romana. Un tempo parzialmente inglobata nel
cortile di Palazzo Boncompagni, la piazza deve la sua sistemazione definitiva e
il suo ampliamento al periodo della dominazione francese (1811-1814),
quando assunse la sua attuale fisionomia architettonica ed urbanistica,
recuperando la primitiva funzione di centro della vita cittadina.
Arrivando dalla via Giuseppe Cesari, che collega il centro con Fuoriporta, si
nota sulla sinistra il monumento in bronzo a Caio Mario (1938). Di seguito,
si erge la settecentesca facciata della Collegiata di S. Michele Arcangelo,
dalle linee sobrie e regolari inframmezzate da elementi decorativi barocchi.
Sulla destra, ad angolo con la Via Cesari, il porticato dell'edificio che ospita il
Liceo Ginnasio-Convitto Nazionale Tulliano. Questo celebre luogo
d'istruzione è l'erede del secentesco Collegio dei SS. Carlo e Filippo, a lungo
diretto dai Padri Barnabiti. Nel 1814 Gioacchino Murat, allora Re di Napoli, lo
costituì "collegio con convitto", riorganizzandone i programmi di studio sul
modello dei licei francesi e trasferendone le competenze allo Stato. Nel 1820
l'istituto venne trasferito nel monastero soppresso delle Cappuccinelle, sede
che venne di seguito ampliata con l'aggiunta dei locali dell'ex Teatro
cittadino, caratterizzati dall'ampio ed elegante porticato esterno, fino a
raggiungere, nel 1890, l'attuale aspetto.
La tradizione di studio del Tulliano, tutt'ora assai prestigiosa, rivive ogni anno
nei giorni del Certamen Ciceronianum Arpinas, che richiama giovani liceali di
tutto il mondo che si cimentano su opere di Cicerone, confermando Arpino
ed il suo Liceo come veri centri internazionali per la diffusione della cultura
classica. Sulla facciata del "Tulliano", a sottolineare il suo legame con
un'illustre tradizione, sono collocati all'interno di nicchie ovali i busti di Caio
Mario, Marco Tullio Cicerone e Marco Vipsanio Agrippa, ciascuno
sovrastante un'iscrizione latina che ne rievoca la memoria.
Le iscrizioni che appaiono invece sulle architravi delle finestre riportano il
nome della famiglia de Theodinis, che fu proprietaria dell'edificio fino al 1629.
Sul lato dell'edificio che dà sulla Via Giuseppe Cesari, un'iscrizione latina
ricorda l'antica grandezza di Arpino ed è sovrastata dallo stemma della città.
Torniamo alla Piazza Municipio per osservare il monumento in bronzo a
Cicerone (1958), opera dello scultore Ferruccio Vecchi. L’epigrafe posta sul
basamento della statua fu redatta dal Prof. Guerino Pacitti, esimio latinista,
Presidente ed Ispettore del Ministero P.I.
La traduzione in italiano:
M. TVLLIVS CICERO
Egli solo si distinse per la gloria dell’eloquenza, arricchì e nobilitò la lingua
latina destinata a legare saldamente i popoli alla madre comune
(Roma). Difese la libertà soffocata dalle lotte civili e, per le lotte civili cadde
vittima. Banditore universale della comune dignità. Straordinario vanto
dell’antica sapienza, banditore universale della dignità. Nel bimillenario della
sua morte il Centro Studi Ciceroniani. Arpino, 7 Dicembre 1957.
Inoltre sul piedistallo della statua l’epigrafe: ”non feram, non patiar, non
sinam” (non sopporterò, non accetterò, non permetterò). Queste parole
appartengono all’opera ”Le Catilinarie”, e si riferiscono a quando Cicerone
esorta Catilina ad abbandonare la città: ”Non puoi più stare in mezzo a noi!
Non sopporterò, non accetterò, non permetterò!”. (Catilinarie, libro I, par. 10).
Sempre in Piazza Municipio troviamo il complesso architettonico di Palazzo
Boncompagni, che chiude ad angolo retto la Piazza. L'aspetto attuale
dell'edificio risale ai primi dell'Ottocento. Sulla facciata di sinistra, a due ordini
di finestre, notiamo lo stemma della città e subito al di sotto un'iscrizione
latina dedicata a Carlo III di Borbone, a ricordo dell'operato del sovrano in
favore della città. Ai lati dell'iscrizione sono visibili i busti di Vittorio Emanuele
II e di Giuseppe Garibaldi.
Sulla facciata di destra, sulla quale si apre una lunga balconata, si notano tre
portali, uno dei quali mette in comunicazione la piazza con il corso Tulliano.
Sono inoltre visibili i busti del Cavalier d'Arpino e di S. Francesco Saverio
Maria Bianchi.
Un tempo sede dell'Amministrazione Comunale, attualmente il Palazzo è sede
provvisoria della "Fondazione "Umberto Mastroianni".
Entriamo nel Palazzo per notare subito, a sinistra, il frammento di pavimento
a mosaico del II-III sec. d.C. rinvenuto durante gli scavi condotti nei pressi
della Collegiata di S. Michele. Salita l'ampia scalinata che conduce ai piani
superiori, ci si trova nelle sale espositive della Fondazione Mastroianni.
Vale la pena di salire fino al secondo piano del palazzo per ammirare il
frontale del monumento funerario romano della famiglia dei Fufidi,
contemporanei di Cicerone, i cui membri furono esattori per il Municipium di
Arpino delle rendite provenienti dai territori della Gallia Narbonese donati da
Caio Mario.**
Testo : Da * a** www.arpinoturismo.it


Collegiata di S. Michele Arcangelo

Sulla piazza principale di Arpino sorge la Chiesa di S. Michele Arcangelo,
costruita sull'area di un tempio pagano, sembra, dedicato ad Apollo e
alle nove Muse. Così almeno viene creduto in quanto dietro l'altare vi è un
vano scavato nella roccia con nove nicchie vuote.
Nella navata sinistra della chiesa, una lapide del 1700 avvalora questa
credenza; così recita "Templum hoc novem musis olim dicatum ... anno
MDCCXXXI consecravit". Affreschi risalenti all'VIII-IX sec., la datazione MC
sull'iscrizione della campana maggiore, la documentazione dei Regesti
dell'Abbazia di Montecassino, che parlano di una donazione da parte di
Giovanni di fu Lando nel 1104, attestano l'antichità della chiesa e ci ricordano
la continuità nello stesso luogo del culto pagano e della religiosità cristiana.
Da documenti dell'inizio del '400 sappiamo che S. Arcangelo (così allora
veniva chiamato) fu residenza del vescovo di Sora, che da qui emanava i suoi
decreti. Danneggiata dal terremoto del 1654, la Chiesa fu restaurata e
rimaneggiata successivamente fino ad avere l'aspetto attuale.
L'interno, barocco, è a croce latina a tre navate con cappelle laterali e
volte a crociera. S. Michele è custode di numerose opere di prestigio. Subito,
entrando, notiamo sull'altare maggiore la grande tela del Cavalier d'Arpino
raffigurante L'Arcangelo Michele vittorioso su Lucifero e sulla volta
dell'abside la maestosa figura del Padre Eterno. Sempre allo stesso artista
sono attribuite L' Annunciazione, Tobia e l'Angelo, Il Martirio di S. Pietro, e le
14 Stazioni della Via Crucis.
Di notevole livello artistico è la Croce stazionale di Scuola Toscana (sec.
XIV), nella navata destra. Nella Sacrestia una tela ad olio, attribuita a
Francesco Curia, imitatore del Caravaggio, rappresenta Il Battesimo di
Gesù. Bella è la Madonna con Bambino del pittore secentesco Dionigi
Ludovisi. Da notare è l'organo realizzato nel '700 ad opera di Michele Stolz,
il Battistero e il pulpito in legno di noce con sei putti a rilievo sostenuti da
un'aquila. Michele Stolz, lo scultore in legno, tirolese (1725-1779) che operò
lungamente in Arpino, è sepolto sotto l'altare del Sacro Cuore in questa
Chiesa.
Proseguendo per la stradina che taglia in due il borgo, lastricato dai piccoli
tipici ciottoli, incontriamo al numero civico 6 un antico Palazzo che presenta
una curiosità: ai lati del portone d'ingresso due scivoli permettevano ai "bravi"
del padrone di casa di tenere sotto bersaglio gli ospiti indesiderati o
malintenzionati.
Cortile Farnese. E’ uno dei “luoghi storici” dell’Arpino medievale. Datato
intorno all’anno mille, è parte di un antico edificio costruito sulle mura
ciclopiche che fu palazzo signorile o monastero. L’arco borgognone, tipico
dell’alto Medio Evo è dominato dallo stemma dei Farnese. All’interno del
cortile si ammira un elegante chiostro in pietra viva realizzato dagli scalpellini
dell’epoca, formato da archi a tutto tondo sostenuti da colonne bizantine.
Per il cardinale Pesce operò in Arpino, dove morì nel 1779, lo scultore di
legno, il tirolese Michele Stolz, che fu per molto tempo suo ospite nella casa
di Civitavecchia. Scolpì la statua di San Vito, il simulacro della Crocefissione,
la statuetta della Concezione oltre a numerose altre opere per le chiese di
Arpino. Il linguaggio stilistico dello Stolz fu decisamente rococò d'impronta
napoletana.


Il museo della Liuteria

Ad Arpino è presente il Museo della Liuteria, il quale espone oggetti, materiali
ed antichi strumenti dell’antica bottega liutaia arpinate, specializzata nella
produzione di liuti, mandolini e altri strumenti a corda, oltre a un’ampia
documentazione cartacea internazionale. Il museo offre al visitatore la
possibilità di conoscere il processo di lavorazione dei Maestri Liutai, per
fabbricare questi fantastici strumenti.

Il Libro di Pietra di Giuseppe Bonaviri
E’ una singolare iniziativa che coniuga il fascino antico e a tratti aspro di
questo centro con le suggestioni della poesia contemporanea. Si tratta
della riproduzione su pietra di poesie (in lingua originale e relativa traduzione
italiana) che famosi poeti contemporanei, ospiti della città, hanno dedicato ad
Arpino. L'iniziativa è coordinata dallo scrittore Giuseppe Bonaviri.
Giuseppe Cesari Cavalier d'Arpino (Arpino, 1568 – Roma, 3 luglio 1640),
è stato un pittore italiano e un altro figlio illustre di Arpino. Definito dai
Conservatori dell’Urbe ‘pictor unicus, rarus et excellens ac primarius et
reputatus’
Originario di Arpino, il pittore si trasferisce a Roma nel 1582 con la famiglia
dove lavora nella decorazione delle Logge vaticane, sotto la direzione
del Pomarancio. È lì che il giovane Cesari, non ancora cavaliere, si fa notare
per la sua creatività e comincia a lavorare come ragazzo di bottega. Già
nel 1583 è ammesso all'Accademia di San Luca, di cui sarà poi ripetutamente
presidente, fino a quando non lo sostituirà il Bernini, e presto viene ammesso
a realizzare affreschi. Entra così nella corte di Gregorio XIII, il cui
figlio Giacomo Boncompagni era divenuto Duca di Aquino e di Arpino.
L'ascesa al soglio pontificio di Sisto V nel 1585 non interrompe la carriera del
Cesari, ormai ben introdotto nell'ambiente: risale a questo periodo l'affresco
con la Canonizzazione di San Francesco di Paola nel chiostro della Trinità dei
Monti, dove risente dell'influenza sia del Pomarancio che di Raffaellino da
Reggio. Da quell'anno e fino al 1591 lavora a Sant'Atanasio dei Greci.
Nel 1586 entra nella Congregazione dei Virtuosi al Pantheon.
Nel 1588 il cardinal Farnese gli commissiona gli affreschi, oggi perduti,
per San Lorenzo in Damaso.
Nel 1589 è a Napoli, dove affresca il coro della Certosa di San Martino, e
tornerà nel 1593 per eseguire gli affreschi della volta della Sacrestia. Roma
lavora, tra il 1587 e il 1595, nella Cappella Olgiati in Santa Prassede, mentre
dal 1597 lavora nella Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi (gli succede
poi, in questa commessa, il Caravaggio).
La bottega di Cesari era ormai tra le più affermate di Roma: vi entrò
nel 1593 anche il Caravaggio.
Una commessa che l'accompagnò per oltre quarant'anni, dal 1595 e il 1640,
furono gli affreschi del Palazzo dei Conservatori. Vi realizza: il Ritrovamento
della lupa, nel 1596; la Battaglia tra i Romani e i Veienti, nel 1597 e il
Combattimento tra gli Orazi e i Curiazi, nel 1612. Vi ritorna dal 1635 per
eseguire il Ratto delle Sabine, l'Istituzione della Religione e la Fondazione di
Roma.
Nel 1600 affresca l'Ascensione nel transetto di San Giovanni in Laterano,
opera che gli vale il cavalierato di Cristo. Sempre in quegli anni assume la
direzione dei lavori di decorazione musiva della cupola di San Pietro, mentre
successivi sono gli affreschi della villa Aldobrandini a Frascati e quelli
della Cappella Paolina in Santa Maria Maggiore, realizzati tra il 1605 e il 1612.
Dipinse anche in Poli, nel palazzo baronale dei Conti, dove affrescò la cappella
privata del palazzo che dà in un grande salone anch'esso affrescato.
Ad Arpino ha lasciato alcune opere:
Chiesa di San Michele Arcangelo, San Michele Arcangelo combatte Lucifero,
o/t, ca 1620
Chiesa di San Michele Arcangelo, Dio Padre benedicente col Globo, o/t, ca
1620
Chiesa di San Michele Arcangelo, Testa di Cristo, affresco, 1606-1607
Chiesa di San Michele Arcangelo, Martirio di San Pietro Martire, o/t, 1631
Chiesa di Santa Maria Assunta, Dio Padre con la destra alzata e il Globo,
o/tav., ca 1620
Chiesa di Santa Maria Assunta, San Giovanni ev. e San Giuseppe, o/tav., 1625-
1627
Chiesa di Sant'Antonio, Sant'Antonio da Padova col Bambino Gesù e
vestizione di Sant'Antonio da Padova, o/t, ca 1634
Chiesa di Sant'Andrea, Sant'Andrea e San Benedetto sotto lo Spirito Santo e
due puttini adoranti, o/t, 1635
Chiesa di San Vito in Civitavecchia, Santi Vito, Modesto e Crescenzia, o/t,
1625-1627


IL CASTELLO DI LADISLAO, SEDE DELLA FONDAZIONE MASTROIANNI

Posto sulle pendici della collina di Civita Falconara, il Castello, le cui parti più
antiche risalgono al XIII secolo, prende il nome dal re di Napoli, Ladislao
I (1376-1414) della dinastia Durazzo d’Angiò, che qui, secondo fonti antiche,
trasferì per un certo periodo la sua corte.
Nei secoli successivi il Castello, abbandonato, subì distruzioni e ricostruzioni,
finché dal XVIII secolo e per tutto l’Ottocento, divennne uno dei più grandi
lanifici di Arpino di proprietà della famiglia Ciccodicola.
Con la crisi dell’industria, nel Novecento, il Castello divenne sede di un Istituto
per gli orfani dei lavoratori, poi Ospedale militare ed infine Istituto Tecnico
Industriale per Chimici fino al 1985, anno in cui l’Amministrazione Provinciale
di Frosinone lo acquistò e avviò i lavori di recupero per destinarlo a sede
espositiva della Donazione e a centro congressuale, con scopi di
valorizzazione culturale e turistica.


FONDAZIONE UMBERTO MASTROIANNI

L’idea di dar vita in Arpino - città che annovera tra i suoi figli Cicerone, Caio
Mario, Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino - ad una Fondazione
intitolata ad Umberto Mastroianni, uno degli artisti più eclettici e geniali
del XX Secolo, nasce intorno ai primi anni settanta, e con essa l’idea di
attuare importanti iniziative artistiche di respiro internazionale per la
promozione della scultura monumentale.
Umberto Mastroianni nasce a Fontana Liri, in provincia di Frosinone, il 21
settembre 1910.
Dopo gli studi presso l’Accademia di San Marcello a Roma, si trasferisce con
la famiglia a Torino, proseguendo la sua formazione sotto la guida del
maestro Guerrisi. Le sue prime opere hanno un’impronta futurista; in
particolare sarà influenzato dalle opere di Boccioni che Mastroianni tinge
però di neo-cubismo.
L’artista sarà il fondatore nel 1947 del Premio Torino e, nel corso della sua
vita, riceverà importanti riconoscimenti quali il Gran Premio Internazionale per
la Scultura (Biennale di Venezia 1958) e il Premio Imperiale di Tokyo
(1989). Artista di fama mondiale, Umberto Mastroianni muore il 25 febbraio
1998 nella sua casa-museo di Marino (Roma) lasciando ai posteri numerosi
capolavori.
L’Amministrazione Provinciale di Frosinone nel 1985 acquista il Castello
Ladislao di Arpino, destinato, dopo il restauro, a diventare la sede definitiva
della Fondazione Umberto Mastroianni, Centro Internazionale di Arti
Visive.
La mostra del Maestro tenutasi nel 1986 nel Palazzo della Provincia di
Frosinone e la sua donazione del 1992 di 81 opere, segnano la nascita
definitiva di un progetto di grande spessore artistico-culturale: la Fondazione
Umberto Mastroianni, attiva dal 1993 con il nome di Centro Internazionale
Umberto Mastroianni. Ospitata fino a Maggio 2013 nel Palazzo Boncompagni
in Arpino, si costituisce definitivamente in Fondazione il 15 Gennaio 1999. La
Fondazione, con le sue iniziative di largo respiro culturale nazionali ed
internazionali, si configura come centro propulsivo di significative proposte
artistiche essenziali per la valorizzazione culturale della Provincia di Frosinone
e per tutto il centro - sud Italia. È con questa ambiziosa prospettiva che gli
enti pubblici, quali la città di Frosinone, sono presenti in qualità di Soci
Fondatori in seno al Consiglio di Amministrazione della Fondazione.
Presso il Castello di Ladislao è possibile visitare la Donazione Mastroianni
composta da 81 opere, alle quali se ne sono aggiunte altre, rappresentative
dell’intensa carriera artistica del Maestro, dagli anni della formazione
avvenuta attraverso lo studio dai modelli classici, all’elaborazione, a partire
dagli anni ’40, di uno stile squisitamente personale.
Inoltre, al fine di valorizzare figure importanti e significative della famiglia
Mastroianni, sono allestite le sezioni dedicate a Domenico e Alberto
Mastroianni; I Mastroianni e il Cinema: Marcello e Ruggero; I Mastroianni
ceramisti: Arcangelo, Felice, Vincenzo ed Emilio.
Tra gli scopi statutari della Fondazione vi è la valorizzazione degli artisti del
territorio frusinate, in particolare dei giovani talenti. Periodicamente, al fine di
promuovere la conoscenza dell’arte moderna, la Fondazione organizza mostre
di artisti moderni e contemporanei. La sezione Arti Moderne raccoglie le
opere sia degli artisti ai quali la Fondazione ha dedicato delle mostre
personali, sia degli artisti più rappresentativi della provincia di Frosinone: V.
Balsamo, G. Carboni, E. Carmi, L. Dall’Olio, F. Gismondi, V. Grinberg, F. Ippoliti,
S. Lancioni, A. Lombardi, A. Loreti, G. Martinelli, V. Miele, A. Mirò, F. Rea, G.
Riccardi, M. Romani, I. Scelza, ed altri.
Infine, la Fondazione ha tra le sue finalità l’organizzazione di corsi di studio
internazionali post-accademici, tenuti dai più famosi scultori del mondo per la
realizzazione del “Museo Territoriale Provinciale”, secondo il progetto e le
volontà del grande maestro.
Testo:http://www.fondazionemastroianni.it/